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martedì, gennaio 31, 2012

Scoprono una strana galassia formata subito dopo il Big Bang

È stata scoperta una delle galassie più distanti dal nostro pianeta e presenta anche un tasso enorme di produzione di stelle. La galassia, chiamata GN-108 036, ha una forma che ricorda una una goccia, e dista 12.900 milioni anni luce dalla Terra.

È la galassia più luminosa conosciuta a tale distanza. La galassia è stata identificata con il telescopio Subaru, e la sua enorme distanza è stato accuratamente confermata dal telescopio Keck II, e lo spettrografo DEIMOS.

Entrambi gli osservatori sono situati in cima a Mauna Kea alle Hawaii. I Telescopi spaziali Spitzer e Hubble della NASA sono stati usati per misurare l'alto tasso di formazione stellare in questa galassia.

In confronto, la nostra via Lattea è circa cinque volte più grande e cento volte più massiccia di GN-108 036, ma produce nuove stelle a una velocità 30 volte inferiore.

"Mai, fino alla scoperta del GN-108 036, avevamo visto una galassia con una formazione stellare così vigorosa ad una distanza analoga ", dice Yoshiaki Ono, un membro del gruppo di ricerca, dell’Università di Tokyo in Giappone.

Questa galassia viene dichiarata dai ricercatori un oggetto speciale, raro, catturato anche da un colpo di fortuna grazie al momento della massima attività di formazione stellare.

La luce di questa galassia ha impiegato 12.900 milioni di anni per raggiungerci, così noi lo vediamo com’era nel lontano passato.

sabato, ottobre 15, 2011

Alla scoperta dell'Universo

Storie di uomini con il naso all’insù 
Margherita Hack, Corrado Lamberti

L’Universo, misterioso e affascinante, fin dall’antichità ha attirato la curiosità delle più grandi menti e di interi popoli, che cercarono di coglierne e studiarne meccanismi e segreti. Questo incontro ripercorre, tappa dopo tappa, storia ed evoluzione del pensiero cosmologico, dando voce ai protagonisti delle più importanti scoperte.

Dai lavori pionieristici di William Herschel fino all’intuizione dell’espansione dell’Universo da parte di Edwin Hubble, dall’affermazione del modello del Big Bang e dell’inflazione, fino all’irrompere sulla scena dell’enigmatica materia oscura, nonché dell’energia oscura, responsabile dell’espansione cosmica accelerata.

Si arriva fino ai giorni nostri e al contributo fondamentale dei ricercatori italiani nell’esplorazione del Cosmo. In particolare, nel racconto trova spazio la descrizione dell’esperimento BOOMERanG e di uno dei suoi responsabili: Paolo De Bernardis dell’Università La Sapienza di Roma. L’impresa, nel 1998 e nel 2003, è riuscita a fotografare l’Universo appena nato, misurando la radiazione cosmica di fondo di una porzione dello Spazio. Il telescopio fu portato in alta quota grazie a delle "mongolfiere" hi-tech in volo sopra il Polo Sud. Abbandonando i tecnicismi e le astrazioni dei cosmologi, la discussione riesce a offrire i concetti della cosmologia moderna alla comprensione anche di chi ha come bagaglio conoscitivo personale solo la fisica e la matematica di uno studente di liceo. Si colgono così i caratteri intimi dello studio del Cosmo: la curiosità, il mistero e il fascino seducente dell’Universo.

29 ottobre, alle 11:00 
Aula Polivalente San Salvatore 
Piazza Sarzano

lunedì, luglio 18, 2011

L'ultima volta dello Shuttle

L'ultimo volo dello Shuttle verso lo spazio è avvenuto pochi giorni fa, con la solita tensione per l'avvenimento e un po’ di nostalgia. In fondo per circa 30 anni è stato come un ponte tra la terra e lo spazio. Abbiamo chiesto a due nostri autori che di spazio se ne intendono, che cosa è stato lo shuttle per loro e il loro lavoro. In un’intervista doppia abbiamo chiesto a Francesco Paresce e Umberto Guidoni che cosa è stato lo Shuttle per l’umanità.

giovedì, maggio 26, 2011

L’origine dell’Universo e la sua evoluzione

Le informazioni che riceviamo dalle lontane galassie ci permettono di decifrarne la storia passata. Poiché la luce ha una velocità finita, le galassie più lontane, quelle a miliardi di anni luce, ci mostrano l’Universo com’era miliardi di anni fa, mentre le galassie più vicine, a pochi milioni di anni luce, ci mostrano l’aspetto dell’Universo nel passato prossimo, praticamente identico a quello odierno.

Come studiamo i reperti archeologici per conoscere l’origine e l’evoluzione dell’umanità, analogamente, attraverso la radiazione fossile possiamo rappresentarci l’Universo così com’era cinquecentomila anni dopo l’inizio. È questa l’età più lontana che possiamo osservare direttamente. Ma indirettamente possiamo ricostruirne le condizioni fisiche, fino ad un’epoca di un millesimo di miliardesimo di secondo dall’inizio.

Cosa intendiamo quando parliamo di inizio? Negli anni ’20 Edwin Hubble intraprese una serie di osservazioni sistematiche di spettri di galassie. Si era scoperto da poco che quelle strane nebulosità, a volte a forma di spirale, a volte di ellissi più o meno schiacciate, non erano nubi di gas, come quelle distribuite lungo la Via Lattea, bensì veri e propri sistemi simili a quest’ultima, anch’essi composti di stelle e nubi di gas.

[Tratto da: Una vita tra le stelle di Margherita Hack]

lunedì, aprile 11, 2011

Tra razzi e telescopi in libreria

Da oggi è disponibile in tutte le librerie il nuovo libro di Francesco Paresce "Tra razzi e telescopi, alla scoperta dell'Universo" edito dalla Di Renzo Editore. Una raccolta di ricordi ed emozioni dello scienziato che ha dato un grande contributo alla realizzazione di Hubble il telescopio spaziale ancora in orbita dal 24 aprile del 1990. Il nipote di Guglielmo Marconi racconta, con ironia e semplicità la sua vita di scienziato e le tappe del suo percorso scientifico fino ad arrivare alla collaborazione con NASA ed ESA per il telescopio spaziale più famoso al mondo che da oltre 21 anni invia sulla terra immagini straordinarie.

Nella sua lunga carriera, trascorsa “tra razzi e telescopi”, a Berkeley, alla NASA e all’ESA, Francesco Paresce ha preso parte a progetti straordinari e a collaborazioni importanti, alla ricerca di quelle risposte che ancora mancano per risolvere i misteri dell’Universo. La scienza tende continuamente alla ricerca di spiegazioni sempre migliori, più esaustive, e di una modalità interpretativa dei fenomeni realmente efficace.

Collana: I Dialoghi
ISBN: 9788883232565
Anno Edizione: 2011
Pagine: 104
Prezzo: 14.00 €

giovedì, marzo 31, 2011

Hubble svela i segreti della Tarantola

Hubble cattura ancora immagini straordinarie. La fotografia scattata dal telescopio spaziale mostra uno dei lati più luminosi della nebulosa Tarantola, portando alla luce un grande groviglio di gas e polveri.

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venerdì, gennaio 28, 2011

Un altro bel colpo della nostra WFC3: la galassia più lontana!

Esce oggi su Nature un bellissimo articolo sulla galassia più lontana scoperta dalla camera WFC3 su Hubble che abbiamo costruito e lanciato in orbita nel 2009 già postati su questo blog e descritti nel mio libro Tra razzi e telescopi. Prima del lancio di Hubble nel 1990 la galassia più lontana che si conoscesse si trovava a circa 5 o 6 miliardi di anni dalla nascita dell’universo e cioè circa a metà strada tra noi oggi e il momento del Big Bang 13,7 miliardi di anni fa.

Mi ricordo che a quell’epoca questa distanza ci sembrava veramente strepitosa ma nel frattempo con Hubble coadiuvato dai grandi telescopi a terra come Keck e VLT questo limite che allora sembrava invalicabile e’ stato spostato via via sempre più in là fino ad arrivare prima del lancio della nostra WFC3 intorno a 1miliardo di anni dal big bang.

Con la WFC3 siamo riusciti ad arrivare ancora più vicino al Big Bang valicando quest’ultimo limite per arrivare oggi con l’oggetto con il nome assai prosaico UDFj-39546284 addirittura a solo 480 milioni di anni dalla nascita dell’universo. Questo sì che e’ strepitoso perché oggi si pensa che le primissime galassie o proto galassie si siano formate attorno ai 100 e 200 milioni di anni dopo il Big Bang. Quindi ci stiamo avvicinando inesorabilmente al momento della loro creazione che e’ ancora oggi avvolto nel mistero più fitto. Infatti non si sa niente veramente di quando e come le galassie si siano formate dopo la creazione delle prime stelle. Le osservazioni di questo oggetto pubblicate oggi ci mostrano subito una cosa molto importante e cioè che il tasso di formazione delle prime stelle cresce vertiginosamente nelle prime fasi della loro vita aumentando di un fattore 10 solo tra 480 e 650 milioni di anni dal Big Bang.

Infatti la galassia in questione e’ molto piccola perché molto giovane e solo nelle primissime fasi della sua costruzione e ancora quasi tutta da formare e quindi molto difficile da rivelare. La WFC3 con la sua incredibile risoluzione, nitidezza e pancromaticità e’ riuscita a vincere la sfida di trovarla tra le migliaia di altre galassie più grandi e luminose che la circondano. E’ però ancora troppo piccola e lontana perché anche la WFC3 riesca a risolverla nelle sue stelle di cui e’ ovviamente costituita ma si vede benissimo che queste sono giovanissime e quindi molto blu come ci aspettavamo da calcoli teorici. Per andare oltre e arrivare al mitico momento della formazione delle prime stelle e loro agglomerati che chiamiamo galassie ci vorrà però non solo una WFC3 ma un telescopio più grande in questo momento in costruzione (il JWST con un diametro di 6,5 metri circa 3 volte più grande dello specchio di Hubble) che si spera venga lanciato nel 2015.



Ma intanto questo risultato ci permette di studiare in dettaglio questa prima fase dell’evoluzione delle galassie mettendo al lavoro adesso anche i grandi telescopi a terra per raffinare le misure fatte da WFC3 aggiungendo dei spettri della luce emessa da UDFj-39546284 per capire di che cosa sono fatte le sue stelle. In più ovviamente la WFC3 verrà usata ancora moltissimo per cercare altre galassie in questa fase della loro vita per capire meglio quante si sono già formate a quell’epoca e in che forma. Tutto da scoprire quindi e tutti noi costruttori della WFC3 siamo orgogliosi della sua potenza e utilità scientifica e aspettiamo con ansia altre strepitose scoperte nei prossimi anni.

lunedì, maggio 24, 2010

Trovare la stella più bella

La genesi della foto racconta di un piccolo capolavoro nato dall’impegno quotidiano: «Dietro quella fotografia c’è un lavoro lungo e interessante. È stata scattata nel novembre del 2009 ed è importante perché mostra delle stelle molto giovani. Ma la cosa più incredibile è che la nube continua a sfornare nuovi corpi celesti, aiutandoci così negli studi». Alla base di queste ricerche ci sono infatti lunghe indagini che aiutano a capire dove trovare materiale interessante ma che non assicurano la riuscita. La Nasa ha chiesto solo successivamente allo scienziato italiano di elaborare la foto per farne un oggetto di pubblicazione. Così è iniziata la seconda parte del lavoro, anch’essa dura ma gratificante: «Il risultato ha sbalordito anche me. All’inizio ero un po’ scettico perché sapevamo di essere in possesso di documenti importanti dal punto di vista scientifico ma non artistico. In effetti è una foto molto bella».



lunedì, maggio 03, 2010

Il sole come non lo abbiamo mai visto

Guardate che immagini provengono dallo spazio grazie a SDO

Sono veramente eccezionali tanto quanto le foto scattate e inviate da Hubble. Per guardare tutte le immagini e i filmati inviati da questo grande osservatore dello spazio, è stato aperto un canale su Youtube

sabato, aprile 24, 2010

Auguri Hubble

Lo sappiamo tutti che il più grande motore di ricerca al mondo celebra ogni volta un evento cambiando il proprio logotipo. Questa volta google vuole celebrare il 20° anniversario del lancio del più grande telescopio mai inventato dall'uomo. Hubble, celebrato da questo blog più di qualche volta grazie anche agli articoli del nostro amico Francesco Paresce, da venti anni ci rende partecipe di quello che succede nello spazio.
Le immagini che Hubble ci ha offerto da venti anni a questa parte sono straordinarie, e questo è stato permesso anche dalla mente geniale di Francesco Paresce che nel suo piccolo libro Tra razzi e telescopi (Di Renzo Editore), racconta oltre ad una sua breve biografia quali sono state le emozioni nel vedere un qualcosa di se lanciato nello spazio.

giovedì, dicembre 17, 2009

Appena in tempo per le feste natalizie

Una cartolina dal telescopio spaziale Hubble. Una foto di centinaia di stelle brillanti di un colore blu intenso. Il giovane raggruppamento di stelle denominato R136 ha pochi milioni di anni e si trova nella nebulosa 30 Doradus una regione della grande Nube di Magellano. Non esiste nessuna regione nota così prolifica come Doradus. La foto scattata da Hubble con l'ultravioletto restituisce agli astronomi informazioni molto importanti sulla nascita e l'evoluzione delle stelle.
Le stelle stanno "scavando" una cavità profonda nel materiale che le circondano fino a rilasciare una fortissima luce ultravioletta. L'immagine rivela un paesaggio fantastico di pilastri, creste e valli nonché una regione scura al centro molto simile al contorno di un albero di natale. Oltre a scolpire lo strato gassoso, le stelle brillanti possono anche contribuire a creare una nuova generazione di nuove stelle. Le immagini di Hubble sono state riprese tra il 20 e il 27 ottobre 2009. Il colore blu è la luce delle stelle più calde più massicce, il verde è dato dal bagliore di ossigeno mentre il rosso è dato da idrogeno fluorescente.

Abbiamo intervistato Francesco Paresce e questa volta abbiamo anche il video. Si è parlato del più e del meno, dieci minuti in simpatia e cercando di dare delel risposte alle tante domande che arrivano in redazione dalle persone curiose, studenti che hanno avuto la fortuna di incontrare una persona così gentile. Starlo ad ascoltare mentre ci spiegava a telecamere spente questa magnifica "fotografia" era come essere in aula magna e assistere ad una gradevole lezione.



venerdì, settembre 11, 2009

Qui terra, "parla" Hubble...

Come avrete sicuramente visto già sul sito della NASA e del STScI a Baltimora  e anche spero dagli ultimi post di questo blog, con le immagini e spettri spettacolari riportati, la NASA e l’ESA dichiarano aperta la caccia ai grandi risultati scientifici da venire.
I dati distribuiti al mondo durante la conferenza stampa a Washington giovedì scorso sono il frutto di un programma speciale della NASA detto Early Release Observations (ERO) portato a termine in grande segreto durante i mesi di Luglio e Agosto allo scopo puramente mediatico di far vedere al mondo intero quanto è bravo il telescopio (e ovviamente di riflesso le due agenzie spaziali). Per questo sono stati usati più di cento orbite di tempo per delle immagini che dovevano essere “belle” ma non necessariamente con grande contenuto scientifico. Infatti, molte delle cose distribuite in quell’occasione almeno per noi astronomi erano abbastanza “dejà vu” come dicono i francesi.
Ma questo non significa che ad un occhio attento non potessero sfuggire dei dettagli alquanto significativi. In particolare, l’immagine quì acclusa di una colonna oscura e turbolenta di gas e polvere nella costellazione di Carina ci ha particolarmente interessato. La parte superiore dell’immagine è una foto del pilastro preso in varie bande nella parte visibile dello spettro elettromagnetico e cioè nella banda che i nostri occhi vedrebbero se fossero così sensibili come Hubble. La parte inferiore invece (ed è quì l’aspetto più interessante della vicenda) mostra la stessa colonna presa però nell’infrarosso, una banda a cui i nostri occhi sono insensibili.



Ci si aspettava che si potesse penetrare meglio nella colonna nell’infrarosso perchè la polvere è molto meno opaca in quella banda. Ma non ci aspettavamo proprio che così si potesse praticamente rendere la polvere quasi invisibile (solo uno spettrale alone grigio rimane) come si vede dalla foto.
Perchè è importante questo? Perchè sappiamo ormai bene che tutte le stelle nascono proprio dentro involucri densi di gas e polvere come questa colonna ma non si riusciva fino adesso a vederle a causa della sua opacità. Adesso invece si vedono bene se guardate attentamente la differenza tra le due immagini. Ci sono vari oggetti che non si vedono dentro la colonna nel visibile (sopra) che si vedono benissimo nell’IR (sotto). In particolare, c’è un oggetto interessantissimo che sta sparando un getto di gas luminoso in due direzioni opposte quasi orizzontali nel centro dell’immagine IR. Questo fenomeno ci dice che l’ogetto al centro è proprio una stella nell’atto di nascere!
Dunque le immagini sopra ci dicono che il potenziale pancromatico della nostra WFC3 è eccezionale e che ci permetterà di fare scoperte come questa a man bassa non appena ci metteremo al lavoro. Questo avverrà da oggi con i primi veri programmi scientifici proposti da noi e dall’intera comunità scientifica di cui parlerò in seguito.

giovedì, settembre 10, 2009

La farfalla e il telescopio

La Nasa ha definito le prime immagini inviate da Hubble "straordinarie". Il mega telescopio spaziale, recentemente rimesso a nuovo grazie anche al contributo di Francesco Paresce, ha inviato i primi scatti. Il nipote di Guglielmo Marconi nel suo libro Tra razzi e telescopi racconta come è arrivato fino a divenire uno dei creatori del telescopio spaziale. La scienza tende continuamente alla ricerca di spiegazioni sempre migliori, più esaustive, e di una modalità interpretativa dei fenomeni realmente efficace.
Grazie al grande lavoro eseguito dagli astronauti dell'Atlantis nel maggio scorso, hanno consentito al grande occhio di restare in vita per altri dieci anni. Tra le immagini inviate fino alla Terra, Hubble ha scattato una foto che subito gli addetti della NASA hanno ribattezzato "la farfalla", una confermazione celeste di colore viola. Gli scienziati americani hanno commentato questa immagine, "Quelle che sembrano le ali di una farfalla sono in realtà enormi 'contenitori' di gas di oltre 20mila gradi di temperatura e quel gas si sta muovendo nello spazio ad una velocità di oltre 966mila km/h. Come andare dalla Terra alla Luna in 24 minuti".

lunedì, settembre 07, 2009

Finalmente la Scienza


Nel mio ultimo intervento su questo blog il 19 Maggio ho promesso di tenervi informati sull’andamento tecnico/scientifico del Hubble rinnovato da capo a fondo da quella fantastica avventura che fu SM4, l’ultima missione di servizio portata brillantemente a termine dai nostri sette magnifici astronauti in Maggio di quest’anno.


Sarete probabilmente stupiti dal fatto che solo ora cominciano le prime vere osservazioni scientifiche dopo ben quattro mesi dalla fine di quella missione. Sembra molto tempo ma molto c’era da fare per assicurarsi che tutto funzionasse a dovere a bordo. C’era e c’e’ancora una fortissima aspettativa nel mondo scientifico e anche politico di vedere dei bei risultati dopo tanti anni di lavoro e di soldi spesi per questo.


Questo significa che abbiamo voluto evitare il debacle mediatico occorso al CERN di Ginevra lo scorso anno quando la partenza del mitico Large Hadron Collider si risolse quasi letteralmente in una fumata nera e una brutta figura! Abbiamo quindi proceduto con cautela e con precisi scopi tecnici per mettere in funzione il bestione silenziosamente al riparo di occhi indiscreti. Questi scopi erano prima di tutto di lasciare tempo abbastanza ai nuovi strumenti (WFC3, COS etc) e apparecchi vari ad abituarsi al nuovo ambiente nello spazio. Piu’ precisamente si trattava di lasciarli degassare e cioe’ liberarsi di tante molecole di aria intrappolate all’interno dello strumento e sulle superfici metalliche abbastanza perche’ il vuoto attorno ai sensori fosse piu’ completo possibile. Questo perche’ ai sensori sono applicate delle tensioni rilevanti che potrebbero in un vuoto non sufficientemente completo corto circuitare l’apparato danneggiandolo fatalmente. Solo per questo ci volle circa un mese.


In secondo luogo bisognava mettere in funzione e valutare in dettaglio tutti gli apparecchi nuovi istallati dagli astronauti come le batterie, i giroscopi, il nuovo sistema di controllo e smistamento dei dati etc. In piu’ si e’ anche trattato di capire se e come le varie riparazioni al volo dei vecchi strumenti STIS, ACS e NICMOS fossero state utili o meno. Infine ci volle un bel po’ di tempo per far funzionare di nuovo e mettere a punto il sistema di puntamento super raffinato che permette a Hubble di puntare e fissare uno strumento su un’oggetto alla precisione richiesta di millesimi di secondo d’arco. Tutto questo porto’ via un altro mese o due e certe cose come la messa a punto di NICMOS sono ancora da finire.


Adesso comunque ci siamo. La prima foto arrivata a terra poco tempo fa dalla nostra camera WFC3 è veramente stupenda (vedi la figura allegata). Si tratta di Giove il più grande pianeta del nostro sistema solare visto da Hubble in luce visibile mostrando chiaramente l’enorme potenzialità dello strumento. Tutte le oramai ben note caratteristiche del pianeta risaltano nitidamente ma con in più una bella sorpresa: la macchia nera allungata al centro in basso che rappresenta l’effetto dell’impatto su Giove di un grosso asteroide o una piccola cometa.


I miei colleghi planetari sono stupiti e felici di poter studiare in dettaglio un altro evento del tipo reso famoso qualche anno fa dall’impatto con Giove della cometa Shoemaker-Levy.
Tra qualche giorno comunque la NASA intende pubblicare tutta una serie di nuove immagini dalla nostra WFC3 che commenterò in dettaglio nei prossimi post.

martedì, maggio 19, 2009

Adesso tocca a noi!

Stamattina presto, gli astronauti su Atlantis hanno rilasciato il nuovo fiammante Hubble nello spazio per riprendere il suo solitario cammino attorno alla terra. E sopratutto per deliziare una legione di astrofisici che adesso lo useranno per altri 5 o 6 anni se non di più per esplorare l’universo. Il quinto e ultimo volo della navetta per rinnovare Hubble ha avuto un successo strepitoso.
Ricapitolando: istallati due nuovi strumenti (WFC3 e COS), riparati due strumenti che non funzionavano da vari anni, sostituite le batterie vecchie di 19 anni, rinnovato l’intero sistema di controllo e puntamento mediante un nuovo sensore di guida e sei nuovi giroscopi, sostituito il sistema elettronico di comando e trattamento dati. Se questo non bastasse, è stato montato un meccanismo di cattura sul veivolo per poter guidarlo ad un ammaraggio di sicurezza alla fine della sua vita e aggiunto uno schermo di protezione termica sulle porte del telescopio. Tutti questi compiti assolti alla perfezione in 5 spacewalks e Hubble è tornato all’apice della sua potenza. L’unica cosa che rimane da fare è di usarlo! Dopotuttto è di noi tutti. Avete voglia? Nei prossimi giorni vi dico come.

lunedì, maggio 18, 2009

Viva questi intrepidi astronauti!

Dopo avere risolto brillantemente il nodo veramente faustiano della vecchia camera che non voleva essere sostituita dopo 16 anni di lavoro (vedi il mio post del 16 Maggio), ieri e oggi gli astronauti si sono di nuovo distinti in vere acrobazie nello spazio per risolvere altri profondi rebus strumentali e sempre con successo. Eccone uno al lavoro visto rispecchiato nel casco dell’altro. Mai nella storia della fisica spaziale così tanti devono tanto a così pochi! E’ proprio il caso di dirlo!

Ma torniamo ai fatti. Ieri il lavoro consisteva in pratica di scambiare un’altro vecchio strumento non più utilizzato con uno nuovo di zecca: il COS (Cosmic Origins Spectrograph) il più sensibile spettrografo mai portato in orbita. Questo compito per fortuna questa volta è andato liscio come l’olio e in poco tempo la cosa era fatta. Il secondo compito però presentava delle difficoltà molto maggiori che dovevano impegnare veramente a fondo le facoltà tecniche degli astronauti e cioè riparare la grande camera ACS (Advanced Camera for Surveys) che si era fermata due anni fa per un guasto nel sistema di alimentazione elettrico.

Se l’avete visto su NASA TV eravate partecipi ad un evento storico: la prima riparazione in orbita di uno strumento complesso come l’ACS. Per riuscirci, Grunsfeld doveva prima di tutto tagliare un varco nella griglia di alluminio spessa quanto un CD che rinchiudeva le schede elettroniche bruciate da un corto circuito usando uno speciale arnese costruito apposta per questo. L’arnese consisteva in un tranciatore con ruote di acciaio per recidere la griglia in 12 punti e così arrivare al coperchio della scatola contenente le schede.
Compiuto questo lavoro preliminare, si presentava la sfida di aprire il coperchio svitando 32 piccole viti senza perderle nello spazio (cosa eccezionalmente difficile con i guantoni che hanno). Per sormontare il difficile problema, Grunsfeld usò uno speciale marchingegno che permetteva di catturare nelle loro posizioni originali le viti mentre le svitava. Fatto questo, è riuscito con un pò di sforzo a liberare le schede bruciate e sostituirle una ad una con quelle buone che aveva con se e poi richiudere attentamente il tutto per evitare possible contaminazione o interferenze ellettriche alle schede.
Ma non era ancora finito perchè si doveva anche attaccare un nuovo alimentatore a bassa tensione all’esterno dello strumento e poi connettere un bel pò di cavi elettrici verso i vecchi connettori. La coreografia della difficile impresa era spettacolare con Grunsfeld infilato dentro il telescopio, Feustel sistemato all’estremità del braccio robotico guidato da Megan McArthur che trasferiva gli strumenti per la riparazione avanti e indietro tra il telescopio e i vari contenitori nel vano cargo mentre Mike Good faceva da direttore d’orchestra dall’interno della cabina di volo.
Tutto è andato alla perfezione con ampio anticipo rispetto al previsto. E il giorno dopo anche la riparazione dello spettrografo STIS. Un grande applauso assai meritato al termine dell’impresa da parte di tutta l’equipe di supporto a terra a Houston e a Goddard accolse gli astronauti al rientro nella cabina pressurizzata. Ancora più meritato dopo che i test che mostrano che tutte e due gli strumenti lavorano bene come previsto e sperato.

La fine di un era, l’inizio di un altra per Hubble

Giovedi’, gli astronauti Feustel e Grunsfeld dopo una lotta drammatica con un bullone recalcitrante sono finalmente riusciti in un impresa epica per noi astronomi. Hanno tolto la vecchia camera WFPC2* che e’ stata il cavallo di battaglia di Hubble per 16 anni e l’hanno sostituita con la nuova camera WFC3 che abbiamo costruito per rinvigorire le capacità fotografiche dell’osservatorio spaziale. Noi tutti astronomi dobbiamo ringraziare lo spirito e perseveranza veramente eccezionale di questi due astronauti che hanno passato piu’ di sette ore fuori dell’abitacolo in un “spacewalk” o letteralmente una passeggiata nello spazio (e che passeggiata!) per compiere il miracolo.
Il fitto copione prevedeva una giornata intensa per estrarre laWFPC2 dall’interno del telescopio ancorato nel vano cargo della navetta, parcheggiarla temporaneamente nel vano, estrarre la WFC3 dal suo contenitore, infilarla nel telescopio nel posto appena evacuato dalla WFPC2 e finalmente riporre la vecchia camera nel contenitore per riportarla a terra al rientro. Tutta la complessa procedura ovviamente e’ stata provata e riprovata mille volte a terra per essere sicurissimi di non sbagliare qualche cosa pur minima che potrebbe avere conseguenze disastrose una volta lassù. Ma siccome la legge di Murphy (detto brevemente: se qualcosa potrebbe andare male, andrà male) si applica sempre in orbita nelle situazioni più difficili ovviamente, ecco che la crisi si presenta puntuale: il bullone che tiene ferma la WFPC2 nel telescopio non cede alla forza di torsione controllata applicata da Feustel per estrarla.
Dopo quasi una mezz’ora di tentativi andati a vuoto con crescente preoccupazione se non proprio panico da parte nostra a terra (gli astronauti non sembrano essere colpiti da simili emozioni per fortuna), la decisione unanime dei tecnici di supporto alla missione viene comunicato agli astronauti: procedere ad applicare tutta la forza possibile al bullone per sbloccarlo. Se si rompe, peccato, la WFPC2 rimane al suo posto e la WFC3 verrà riportata a terra. Il panico e il terrore da parte nostra (12 anni di lavoro, tanti posti di lavoro etc buttati a mare per cominciare) sono al massimo mentre Feustel ci riprova mettendoci tutta la sua forza disponibile. O gira o si rompe. Se si rompe e’ finita. Il telescopio rimane orbo, essenzialmente.
Potete quindi immaginare la nostra gioia e sollievo quando qualche attimo dopo si vede la chiave in mano a Feustel cominciare a girare liberamente! Abbiamo celebrato lo scampato pericolo con una buona bottiglia di Veuve Cliquot. Il resto della “passeggiata” per fortuna si e’ svolta senza particolari problemi. In particolare, sono anche riusciti a sostituire il sistema elettronico di comando e maneggio di dati che si era rotto qualche mese fa. Questo e’ ovviamente un pezzo critico per Hubble perché senza di esso, i dati ottenuti dagli strumenti a bordo non possono essere trasmessi a terra. Esausti sicuramente dopo sette ore e mezzo senza neanche un minuto di sosta, i due intrepidi sono tornati nell’abitacolo della navetta per riposare un giorno prima di ripartire Sabato per un’altra “passeggiata”.
* La WFPC2 e’ quella che ha preso vari anni fa forse la foto più spettacolare di tutte da Hubble : quella chiamata un po’ fantasiosamente dei “pilastri della creazione”.

venerdì, maggio 15, 2009

Atlantis alla caccia di Hubble

Martedi’ gli astronauti di Atlantis in orbita dopo il lancio perfetto di Lunedi’ hanno compiuto l’ispezione della chiglia della navetta prevista per il primo giorno della missione. Usando una macchina fotografica posta all’estremita’ del lungo braccio robotico canadese hanno effettuato una ricognizione dettagliata di questa zona critica per il rientro trovando qualche piccola escoriazione su quattro delle tante piastrelle che formano lo scudo termico della navetta. Non sembra sia un gran problema ma gli ingegneri a terra stanno studiando le immagini per sincerarsi che non ci sia bisogno di riparazioni in orbita. Speriamo di no perche’ porterebbe via prezioso tempo alle altre attivita’ previste.
Mercoledi’ quindi è cominciata la caccia al telescopio Hubble che circola la terra in un orbita piu’ alta di quella attuale di Atlantis e precisamente a 563 km. Atlantis dovra’ dunque alzarsi a spirale come si vede dall’immagine fino a trovarsi esattamente sulla stessa orbita e la stessa velocita’ di Hubble.
Questa e’ un’operazione assai lunga e delicata ovviamente per due ragioni. La prima e’ che pur muovendosi attorno alla terra in eccesso di 7 km al secondo, il comandante Scott Altman deve manovrare Atlantis in modo che i due bolidi si avvicinino senza scontrarsi con conseguenze disastrose. La seconda e’ che le manovre devono essere effettuate in modo che i getti di propellente dai motori di Atlantis non siano diretti verso Hubble le cui superfici ottiche sono assai sensibili alla contaminazione dovuta a questi gas.
Compiuto questo, Megan McArthur, l’astronauta responsabile delle manovre con il braccio robotico, agguantera’ il telescopio e lo attracchera’ nel vano cargo pronto per le attivita’ di rinnovo dei prossimi giorni come si vede nella fotografia acclusa presa durante la missione precedente SM3.

lunedì, maggio 11, 2009

Parte il conto alla rovescia per Hubble

Al Kennedy Space Center a Cape Canaveral in Florida e’ partito oggi il conto alla rovescia per la missione SM4 di Atlantis a Hubble. Il conto parte a T-43 ore con il lancio previsto per le 14 EDT Lunedi’. Le previsioni per il tempo sono buone, la squadra di lancio e’ ora al completo nel centro di controllo del lancio e i sette astronauti sono anche arrivati a KSC per le ultime ore di preparazione. Inutile dire che per noi scienziati questo e’ il momento che segna l’inizio della nostra impotenza in un certo senso perche’ rimettiamo tute le nostre speranze nelle mani dei tecnici e degli astronauti della NASA. D’ora in poi siamo in condizioni di tensione ma anche di eccitazione di essere finalmente arrivati cosi’ vicini al traguardo per il quale abbiamo lavorato per tanto tempo. Ma siamo fiduciosi perche’ sappiamo quanta serieta’ e professionalita’ risiedono in questo magnifico gruppo. La foto mostra l’entusiasmo e l’augurio che accompagna la missione.

lunedì, maggio 04, 2009

L’ultimo atto per Hubble

Ieri la NASA ha annunciato formalmente la data e l’ora di lancio della missione STS-125 della navetta Atlantis che porterà la Servicing Mission (SM4) a Hubble per l’11 Maggio alle 14:01 EST. Tra un pò più di una settimana a meno di qualche imprevisto, dunque, si parte finalmente! Gli astronauti si preparano ad entrare in quarantena a Houston Lunedì pronti per il lancio. Siamo quindi, quasi sicuramente ormai, all’ultimo atto di questa grande avventura cominciata tanti anni fa. É sempre stato un sogno nostro di mettere in orbita un grande telescopio per osservare l’universo senza il velo fumoso dell’atmosfera per le ragioni che ho già descritto nel blog del 24 Aprile. Anche se Hermann Oberth già nel lontano 1923 aveva ipotizzato poter un giorno mettere in orbita un telescopio, non è stato possible farlo realmente fino a qualche tempo fa a causa delle enormi difficoltà tecniche ancora da sormontare. Negli anni successivi all fine della seconda guerra mondiale, però, la tecnologia spaziale subiva degli enormi progressi grazie anche alle esigenze politiche-militari del momento. Così negli anni sessanta e settanta si riuscì finalmente a mettere in orbita una serie di telescopi relativamente piccoli e semplici per osservazioni molto particolari tipo del sole o delle stelle nell’ultravioletto. I dati mandati a terra venivano poi analizzati e interpretati a primo colpo dal gruppo limitato di scienziati che avevano ideato e costruito il satellite. Questi satelliti erano importantissimi come precursori della missione che tutti sognavano: un grande telescopio dotato di strumenti di altissima qualità utilizzabile da tutti gli scienziati del mondo che ne volessero usufruire.
Questa idea fu promulgata e per anni spinta principalmente dal grande scienziato di Princeton Lyman Spitzer che cominciò a occuparsene dal 1946 addirittura. Ma fu solo nel 1968 che questi sogni cominciarono a prendere forma pratica con un piano dettagliato della NASA per costruire un telescopio di 3 metri di diametro chiamato il LST (Large Space Telescope) il cui lancio era previsto per 1979. Il concetto fondamentale del programma previsto dalla NASA era quello che ho descritto nel post del 17 Aprile e cioè che il LST fosse messo in orbita e ripetutamente modernizzato ( si pensava già ad una frequenza di 4-5 anni) da una serie di missioni di servizio di un veicolo riutilizzabile con una squadra di esperti astronauti. Per fortuna per il programma, allo stesso tempo si stava proprio costruendo questi veicoli, le ormai ben note navette spaziali, che avrebbero potuto soddisfare, almeno in linea di principio, benissimo al bisogno.
Ma le cose ovviamente non erano così semplici tanto che la mancanza di fondi condusse alla soppressione della missione nel 1974 con grande delusione della comunità scientifica. Dopo una furiosa reazione generale e una lotta senza quartiere a colpi di lettere, telefonate, rapporti favorevoli etc, il congresso Americano finalmente acconsentì a dare la luce verde al LST. Ma, sfortunatamente, con uno stanziamento di solo la metà dei fondi richiesti. Senza per questo perdersi d’animo, i promotori dell’iniziativa con Spitzer in testa si misero al lavoro per riconfigurare il LST in modo che rientrasse nei costi ridotti. Tra le altre cose fu allora deciso di ridurre il diametro all’attuale 2.4 m invece degli originali 3 e di chiedere all’Agenzia Spaziale Europea (ESA) di contribuire in qualche modo al progetto. Così finalmente il progetto potè partire nel 1978 con l’obbiettivo piuttosto ottimista di lanciarlo nel 1983. E’ così che entrammo anche noi europei e, attraverso l’ESA, anche noi italiani, cosa ancora oggi molto poco nota tra i nostri connazionali che pensano che Hubble sia solo Americano. Benchè è vero che l’apporto europeo era minoritario rappresentando in pratica circa il 15-20% del costo totale, bisogna dirsi che si è rivelato alla fine anche molto di più dal punto di vista intellettuale. Oltre all’array di cellule solari che forniva la’energia elettrica per far funzionare il telescopio, l’ESA provvedeva, in cambio di almeno 15% del tempo di osservazione, a uno degli strumenti scientifici a bordo interamente costruito in Europa e ad una squadra di una quindicina di scienziati per aiutare a portare a termine e a mantenere in vita il progetto dopo il lancio. Questa squadra di cui ho fatto parte anch’io per 12 anni insieme a scienziati italiani come Duccio Macchetto, Nino Panagia, Antonella Nota e molti altri, penso abbia contribuito enormemente al successo strepitoso della missione fino adesso.
Nel 1983, il telescopio fu ribattezzato con il nome del grande astronomo Americano Edwin Hubble e così divenne il Hubble Space Telescope (HST). Ma, purtroppo, non si parlava più in quell’anno di lanciarlo in orbita come previsto. Questo, ovviamente, perchè i problemi tecnici e logistici e, bisogna anche dirlo, politici e sociali di vario genere ne ritardarono sostanzialmente la messa in opera. Tra questi più di spicco c’era il problema di costruire il primario di 2.4 m di diametro. Non entro quì nei dettagli perchè sono tanti e complessi ma basti dire che i problemi derivavano essenzialmente dal fatto che non si era mai costruito fino allora un telescopio di questa grandezza con i requisiti speciali che doveva avere per lavorare nello spazio in mancanza di gravità. Era infatti essenziale lucidare il primario con una precisione inaudita fino allora per poter sfruttare completamente la risoluzione limite dello specchio dovuta alla sola diffrazione e non quello molto più basso dovuto al seeing atmosferico a terra come ho spiegato nel mio post del 24 Aprile.
Comunque sia, il fatto sta che tutti questi problemi si accumulavano così velocemente che il lancio veniva rimandato a tratti di un giorno per ogni giorno di lavoro! A questo punto inevitabilmente il costo del progetto era passato dai 400 milioni di dollari originali a più di un miliardo con costernazione generale. Finalmente però, con sforzi enormi di tutti, il telescopio sembrava pronto per un lancio nel 1986 quando in Gennaio di quell’anno non arrivò il terribile incidente alla navetta Challenger. Addio o almeno arrivederci sogni di un HST per chissà quanto! Ma la NASA per fortuna non si diede per vinta e riuscì miracolosamente a rimettere in piedi la flotta delle navette ora ridotta a quattro in soli due anni e poi a lanciare finalmente l’HST il 24 Aprile 1990. Nella fotografia lo si vede stagliarsi sullo sfondo buio nero del cielo mentre si allontana dalla navetta che lo ha appena lanciato nello spazio. La nostra magnifica terra azzurra e bianca domina una buona parte dell’immagine. A questo punto, Hubble era già passato tra la vita e la morte tante volte ma era riuscito finalmente ad approdare al primo atto della sua lunga vita che sta adesso per ricominciare con l’ultimo atto tra una settimana dopo ben 19 anni di molti altri che descriverò in futuro.