mercoledì, agosto 19, 2009

Rompere l’incantesimo

Ci ha incuriosito una lunga intervista a Daniel Dennet professore di Filosofia e direttore del Centro per gli Studi Cognitivi della Tufts University, rilasciata a ABC Radio National , ripresa dal blog Dave's Travelogue e come nostra consuetudine l'abbiamo tradotta per i nostri amici lettori. L'intervista si basa su una diatriba che va avanti da anni, secoli. Scienza e Religione. Dennett pensa che le religioni stiano evolvendo in maniera tossica e che la scienza non dovrebbe essere timida nell’investigarne le motivazioni.
La giornalista Natasha Mitchell lo ha raggiunto nel suo accogliente ufficio alla Tufts University di Boston, dove questo filosofo che si autodescrive come ateo collabora alla direzione del Centro per gli Studi Cognitivi.


Lei sa che, nonostante tutto, quando la scienza tenta di esaminare minuziosamente il credo religioso, riesce ad essere davvero evasiva a volte. Intendo dire che ci sono stati degli studi scarsamente verificati, ad esempio l’impatto della preghiera sulla salute. Non è sempre la musica migliore quella suonata da scienza e religione…
"No, in effetti se fossi un tipo ambiguo e fossi stato incaricato di concepire lo scudo più impenetrabile che potessi immaginare da interporre tra la scienza e la religione, in modo che gli scienziati mettano giù le mani dalla religione, credo non riuscirei a migliorare ciò che è stato già eretto. Ovvero una nebbiosa cortina di santità che respinge anche il migliore degli scienziati ma incoraggia alcuni mediocri a intrufolarsi per fare scienza di quart’ordine, allontanando così gli altri scienziati. Nessuno vuole perdere il suo tempo con roba di seconda mano e quindi ci si butta in altri campi. Non dovremmo volare alla cieca nel XXI secolo, dovremmo aggrapparci a questo, ovvero porre domande difficili e assicurarci che le risposte che otteniamo non siano semplicemente plausibili e rassicuranti, ma bensì veritiere."


Che tipo di domande difficili?
"La religione rende le persone migliori dal punto di vista morale? Incoraggia davvero maggiore onestà, meno violenza, più comprensione, più carità? Insomma, tutto quello che si dice. Esiste un’ispirante litania di cose da fare e da non fare, la supposizione che chi teme Dio e va in chiesa sia di conseguenza moralmente migliore. Esiste una prova che ciò sia vero? Io non ne ho ancora trovata una. È interessante che il tasso dei divorzi sia in realtà più elevato tra i nuovi cristiani rispetto che tra gli atei." Naturalmente il divorzio non è un peccato, ma quando i valori familiari sono una parola in codice per la fede religiosa, il campanello d’allarme è interessante. Un’idea, che mi è già balenata, è che la religione crea solidarietà a spese dell’ostilità del gruppo esterno (come ad es. le nozioni di “club privato” o di “guadagno a somma zero”).


Eppure è anche parzialmente responsabile della distruzione delle civiltà. Voglio dire che la religione unisce le persone; ma le porta anche a combattersi.
"Senza alcuna eccezione, il costo della fiducia, dell’efficienza e della lealtà interne è la sfiducia esterna. Il noi contro loro non è un optional, se esiste un modo di conservare le fedeltà e gli eccezionali benefici della fiducia interna senza pagare il prezzo della feroce xenofobia; sarebbe esattamente ciò che vogliamo fare, ma non sappiamo come. "



Lei pensa che non sono solo i credenti ad essere responsabili della propagazione religiosa, ma che siamo tutti coinvolti nella propagazione dei memi. Lei pensa che credere nel credere sia qui la chiave.
"Sì, è una caratteristica della religione organizzata. Non esiste affatto nelle religioni popolari, cioè credere che credere in Dio sia una cosa buona. Forse è così, forse no, ma credere che credere in Dio sia una cosa buona è molto diffuso. Negli Stati Uniti non puoi essere eletto ad un incarico nazionale o di Stato, non puoi nemmeno essere un senatore o un membro del Congresso se non professi un credo in Dio. Sappiamo che molti senatori o membri del Congresso non sono davvero religiosi. Non credono davvero in Dio, sono atei o agnostici."



Vorrei ora arrivare alla questione del terribile meme: il meme non è un gene; ci ricordi cos’è, ci dia la sua spiegazione migliore; ci parli del meme e della religione.
"Beh, ne abbiamo già parlato senza usare la parola. Quelle idee che copiano se stesse nella nostra mente e che poi vengono copiate in altre menti dove fanno altre copie. Questi sono i memi. Il biologo britannico Richard Dawkins ha coniato questo termine trent’anni fa."


È difficile immaginare che il libro che ha scritto negli anni Settanta, Il gene egoista, abbia già trent’anni.
"In quel libro, per illustrare il potere dei processi darwiniani, il potere dei processi evolutivi, Dawkins ha attirato l’attenzione sul fatto che da nessuna parte si dice che l’evoluzione debba essere limitata alle proteine e al DNA; che anche con una manciata di poche caratteristiche, si dovrebbe avere un processo evolutivo. Si dovrebbe avere una grande popolazione con delle variazioni, ci dovrebbe essere dissenso alla modificazione, ovvero, ci dovrebbe essere copia, replica, e quindi competizione. Ed ha anche sottolineato che questo vale anche per la cultura umana. Che una volta che abbiamo la lingua nella cultura umana, abbiamo in effetti una cosa nuova che chiama meme. Ed in effetti le parole sono, in un certo senso, l’esempio migliore e più ovvio di meme. Cosa sono le parole? Di cosa sono fatte? Cosa sono? Si replicano, si estinguono, hanno la loro storia. Osserviamo le lingue, se osserviamo le lingue romanze, come si sono evolute dal latino, prendendo qua e là parole da altre lingue. Ce ne sono poche che sono state coniate dagli individui; la maggior parte di esse non ha autore. La stessa cosa è accaduta nel mondo della cultura, abbiamo avuto un’inconscia selezione di idee, abbiamo avuto una conscia e deliberata selezione di idee come nella scienza o nella concezione dei sistemi politici. E poi abbiamo anche una vera e propria ingegneria memetica, abbiamo persone che si ritengono professionali…

Esiste un istinto che condividiamo con quasi tutti i mammiferi: quando succede qualcosa di strano o sorprendente, se fa un rumore forte oppure se spunta all’improvviso dal quadro generale, noi ci spaventiamo e reagiamo e non semplicemente guardandoci intorno. Ci diciamo: Chi è stato? Ho sentito una voce? Mio Dio, era quell’albero che mi parlava? È possibile che un albero parli? Ogni nuova ossessione è un’altra ripetizione nella mente.


Ma a volte l’albero che parla diventa un culto.

"Subito tutti, persino i più scettici, dicono che non può esistere un albero che parla, ma ogni volta che lo dicono fanno un’altra copia di quell’idea e presto l’idea dell’albero che parla è ovunque. Che sia finzione o un fatto, ottiene un appiglio in quella cultura e ogni cultura che osserviamo ha un intero serraglio di agenti invisibili – divinità, demoni, gnomi, fate ed elfi di ogni tipo."

Nessun commento: