‘Mi è stato chiesto di raccontare la mia vita professionale e confesso di essere rimasto alquanto perplesso’. E’ l’inizio di “Coerenza Complessità Creatività”, il volumetto edito da Di Renzo Editore in cui il fisico Fortunato Tito Arecchi si racconta.
Parlando di sé attraverso spaccati di vita alternati a grafici e note scientifiche, Arecchi sottolinea come, nonostante il gap esistente fra scienze della natura e scienze umane, tutte le ricerche siano guidate da logiche procedurali simili fra loro. Per motivare la sua convinzione, il fisico ricorre all’analisi dei metodi utilizzati dai personaggi della narrativa criminale, individuando analogie tra questi e la ricerca scientifica.
Un modo interessante per accorciare le distanze fra il linguaggio comune e quello scientifico. Nato a Reggio Emilia, Arecchi si trasferisce ancora bambino a Messina, dove resta fino ai primi anni dell’università, per spostarsi successivamente, con la famiglia, a Pavia.
È il 1953 quando inizia a frequentare il Politecnico di Milano. Fin dal liceo Arecchi ha un grande amore per la filosofia, che accresce il suo impegno in fisica, trasformandola in un’esplorazione della frontiera fra epistemologia e ontologia. Eppure, racconta, dopo il biennio di fisica, decide di iscriversi a ingegneria, indotto dalla convinzione che un ingegnere trovasse più facilmente un impiego. Ma alla fine, il suo iniziale interesse trionfa e, dal 1960 al 1962, lo troviamo all’università di Stanford, dove si specializza in fisica quantistica e in ottica dei laser. Ed è in questo settore che Arecchi dà il suo maggior contributo scientifico scoprendo i fenomeni di ordine e disordine nei laser e descrivendoli mediante la statistica dei fotoni.
Tratto da: Almanacco della Scienza
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