Padre della pillola anticoncezionale, professore di Chimica all'Universita di Stanford, infaticabile divulgatore, come novelist Carl Djerassi ha dato vita a un nuovo genere letterario, la "Science in fiction": altro dalla science fiction, perché nella sua narrativa non c'e nulla di futuribile o di poco plausibile. E un ibrido che va amalgamando discrete ed equilibrate trame romanzesche, dal retrogusto protonovecentesco mitteleuropeo, con iperrealistiche integrazioni scientifiche: la vita dei ricercatori e raccontata quasi fosse osservazione partecipante, dai problemi classici del mestiere (reperimento fondi, carrierismo, interazione sociale coatta, spregiudicatezza, intellettualismo) a quelli comuni alla specie (incomunicabilita, solitudine, sentimentalismo). L'intenzione e nobile, l'esito - almeno in questo libro - altalenante: in certi frangenti divulgativi prevale una tendenza alla didascalia e alla ridondanza scolastica, come poteva essere prevedibile, in altri alla buona capacita di tratteggiare sentimenti s'accompagnano compiacimento e autoindulgenza. La sensazione e che il genere abbia bisogno di epigoni, per evolversi; epigoni rispettosi della linea tracciata dal pioniere, ossia precisione e rigore scientifico confezionati in contesti apparentemente leggeri, perché fictionali.
"Il seme di Menachem" e il terzo libro della tetralogia "science in fiction": viene dopo "Il dilemma di Cantor", giallo giocato sulla smania di popolarita di uno scienziato e sui suoi (esili) scrupoli, e "Operazione Bourbaki" (Premio Serono 2006), storia di un gruppo di anziani scienziati estromessi da laboratori e universita ma ancora motivati. Il quarto libro, "Marx deceased", e in corso di traduzione.
Colonna portante de "Il seme di Menachem" e la tematica dell'inseminazione artificiale: tra SUZI (inseminazione subzonale) e ICSI (iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi, ovvero iniezione diretta di un solo spermatozoo nel citoplasma di un ovulo), si opta per la seconda via: grazie al liquido seminale raccolto in un sacchetto Milex, fatto di gomma di tipo medico, versato e conservato in un vaso di Dewar ad azoto liquido. Djerassi tiene a ribadire che fecondazione e gravidanza non sono sinonimi: la protagonista del romanzo, Melanie, a un tratto sostiene: "Se metti il mio ovulo su una piastra di Petri ed esegui una ICSI con uno spermatozoo, vuoi dirmi che sono incinta? O che la vita e gia iniziata? Certo che no. L'ovulo deve essere reintrodotto e deve impiantarsi nel mio utero. Solo allora possiamo discutere la questione della vita" (p. 199).
Altro argomento cardine e la questione nucleare in medioriente; la posizione di Menachem Dvir, ingegnere nucleare israeliano e futuro padre del piccolo Adam, nato dalla relazione con Melaine, tende a evidenziare relativa comprensione per le strategie politiche sioniste, giustificando parzialmente con la difesa del territorio e dei popoli (palestinese incluso) l'aggressione alle basi irachene di Osirak: proprio la dove, come avvenne tempo addietro per gli israeliani, i tecnici francesi stavano contribuendo alla fusione. Infine, si vanno omaggiando - dietro l'invenzione delle Conferenze Kirchberg - le Conferenze Pugwash sulla Scienza e gli Affari Generali, Premio Nobel per la pace nel 1995 (cfr. p. 9).
Last but not least, una curiosita. La vicenda sentimentale dell'infertile (per via di esperimenti coi raggi x: cfr. p. 168) Menachem e della sua regina di Saba Melanie, laureata - l'annotazione e un piccolo vezzo autoriale - "in era pre-pillola" e quindi estranea alla formidabile scoperta di Djerassi diventa l'occasione, infine, per informare i lettori a proposito delle dinamiche di conversione all'ebraismo. Sembra che tra rabbini ortodossi e riformisti non corra buon sangue. Le divergenze sono tutt'altro che occasionali e funzionali.
da Lankelot.eu
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