martedì, marzo 13, 2012

Pensieri autunnali di un fisico a fine millennio

Per chi non ne abbia esperienza, l’ottobre a Roma concede, nella maggior parte dei giorni, un qualcosa che non attiene all'autunno: una felice stagione in cui s’è già placata la vampa ardente dell’estate torrida, ma l’aria ancora dolce accarezza il viso e la luce dorata inonda cose e persone. 

Un tiepido mattino di un tale ottobre romano, un giovane fisico si trovava a passare, nel suo cammino verso l’università nella quale insegnava, per il grande giardino di un palazzo ottocentesco in via Panisperna. Esso aveva in un recente passato vissuto antichi splendori, non di corti e feste danzanti, ma di scienza. 

Si trattava infatti dell’edificio sede, negli anni Trenta, del Regio Istituto Fisico dell’Università di Roma, che aveva visto la nascita e i primi successi della leggendaria scuola di Fisica romana, sotto la guida di Enrico Fermi - i «ragazzi di via Panisperna»: oltre Fermi, il maestro indiscusso, Franco Rasetti, Emilio Segré, Edoardo Amaldi e, ultimi, Ettore Majorana e Bruno Pontecorvo. 

Il fisico si soffermò dinanzi ad una vasca di pietra vuota che in tempi migliori aveva ospitato allegri pesci rossi. Quella in realtà per lui rappresentava qualcosa di più di una semplice vasca. Si sentiva difatti come dinanzi a una culla, la cuna di pietra del bambinello atomico - Little Boy, così era stata appunto ironicamente battezzata la prima bomba atomica all’uranio sganciata sulla città giapponese di Hiroshima nel 1945. 
Riproduzione post guerra della bomba atomica chiamata "Little Boy"
L’anima del bambinello era stata concepita lì, in quella vasca. Nella sua acqua, infatti, Fermi e i suoi avevano, nell'autunno del 1934, effettuato l’esperimento decisivo che aveva mostrato come i neutroni, rallentati dall'acqua, fossero più efficaci nell'indurre la radioattività artificiale. Si era così aperta la strada dell’energia nucleare «... al sapere e al potere dell’uomo», come recita appunto la lapide commemorativa dell’evento, posta nell'ingresso del Dipartimento di Fisica dell’Università «La Sapienza» di Roma. 

Gli si svilupparono nella mente associazioni di idee legate al concetto di nascita: combinazione, mancavano due mesi a Natale, e il suo compleanno era giusto in quel mese. Era un fervente cattolico 
(praticante, ma ahimè peccatore...) e una tale analogia quasi natalizia gli sapeva un po’ di blasfemo. Gli riaffiorarono alle labbra i versi di Eliot: «...Prega per noi ora e nell’ora della nostra nascita.» (la nascita del bambinello atomico aveva segnato la morte di molti uomini). 

A proposito di nomignoli, si ricordò di quello affibbiato alla prima bomba atomica al plutonio, Trinity, trinità, e il conseguente nome di battesimo del primo test nucleare della storia, che il 16 luglio del 1945 aveva sconvolto e vetrificato le sabbie rosse del deserto di Alamogordo, nel New Mexico: la prova della trinità, Trinity Test. Ripensò le parole di un testo sacro indiano mormorate in quell’occasione da Robert Oppenheimer (il fisico teorico direttore del Laboratorio di Los Alamos e principale responsabile scientifico del «Progetto Manhattan»): «Sono divenuto compagno alla morte, un sommovitore di mondi». 

Apparentemente un certo senso mistico, se non religioso, accompagnava anche i fisici di quel 
tempo, pensò.

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