lunedì, marzo 12, 2012

La coscienza di Gazzaniga

Nel libro L’interprete - Come il cervello decodifica il mondo, Gazzaniga si avventura in una spiegazione affascinante della coscienza. Mentre era alla stesura di un altro libro dal titolo “Nature’s Mind” gli venne in mente che la coscienza è il sentimento che si ha di un processo cognitivo specializzato, un sentimento che accompagna il ragionare sulle equazioni di Maxwell, ma anche il vedere, il correre, l’ascoltare o l’uso di uno qualunque dei nostri sensi. 

In altre parole, le persone riescono a riconoscere il fatto di provare un sentimento (paura, felicità, ecc.), verso qualcosa che percepiscono attraverso i loro sensi, proprio grazie alla coscienza. 

Per Gazzaniga l’essere umano può, non solo sondare tramite le neuroscienze la coscienza, ma addirittura sondare la coscienza umana. 

Man mano che il cervello umano si espande, qualcosa di terribilmente nuovo e complesso si sviluppa e, qualunque cosa sia, influisce sulla nostra capacità di auto-riflessione, attraverso attimi duraturi. 

Per cercare di spiegare meglio questo complicato argomento Gazzaniga ha delineato un processo scandito da tre fasi, per scoprire come il cervello attivi l’esperienza della coscienza. 

Innanzitutto, dobbiamo stabilire cosa intendiamo quando parliamo di esperienza conscia: ci riferiamo solo alla consapevolezza delle nostre capacità come specie, non alle capacità in sé; quindi solo alla consapevolezza o alla sensazione che abbiamo di esse. 

Il cervello non è uno strumento di computo con scopi generici. È un insieme di circuiti dedicati a capacità specifiche. Sebbene ciò sia vero per tutte le specie, la cosa meravigliosa del cervello umano è che molte di queste capacità non sono esplicitate. 

Ne vantiamo molte più dello scimpanzé, che a sua volta ne ha più della scimmia, che ne ha più del gatto, che corre appresso al topo. Dunque, occorre distinguere le capacità precipue della nostra specie, partendo dalle sensazioni legate a tali capacità. 

Il secondo passo deriva dall'ammissione che ciascuna specie è consapevole delle proprie capacità. Può forse esserci qualche dubbio sul fatto che un topo, al momento della copula, provi una sensazione di soddisfacimento al pari di un essere umano? 

Naturalmente no. Così come appare logico pensare che a un gatto piaccia un bel pezzo di merluzzo. Ma allora cos'ha di diverso la coscienza umana? Anch’essa è consapevolezza, ma noi possiamo essere consapevoli di molte più cose. 

Ciascuna capacità del nostro cervello è associata ad almeno un circuito e, più circuiti il cervello possiede, maggiore è la consapevolezza delle sue capacità. 

Pensiamo alle mutazioni subite dalla nostra specie: anni di ricerche sullo split brain ci informano che l’emisfero sinistro ha molte più capacità mentali del destro. In altre parole: il livello di consapevolezza dell’emisfero destro è limitato, giacché conosce soltanto poche caratteristiche preziose di molte cose. Ma anche tra noi esseri umani sussistono delle limitazioni: nessuno deve sentirsi offeso nel realizzare che può facilmente comprendere la legge di Ohm, ma non la meccanica quantistica. 

Evidentemente, i circuiti che rendono possibile la comprensione della fisica avanzata non sono presenti in tutti i cervelli. 

Il terzo passo del processo ci riporta alla nozione di interprete. Abbiamo già detto di come esso “interpreti” il nostro comportamento e le nostre risposte, sia cognitive che emotive, agli stimoli ambientali. 

Dunque, stabilisce costantemente un percorso narrativo delle nostre azioni, emozioni, sogni e pensieri. È il collante che unifica la nostra storia e crea la nostra percezione di essere un agente razionale completo. 

Di più: aggiunge al nostro bagaglio di istinti individuali l’illusione di essere qualcos'altro, rispetto a ciò che siamo. Costruisce teorie sulla nostra vita e traccia narrazioni del nostro comportamento passato che pervadono la nostra consapevolezza. 

Assodato tutto ciò, il problema della coscienza diventa trattabile. Non dobbiamo trovare il codice di una grande e complessa rete neurale. Al contrario, dobbiamo cercare quel circuito neurale comune a tutti i vertebrati, che consente di essere consapevoli delle proprie caratteristiche specie-specifiche. 

Lo stesso circuito che permette a un topo di far ciò è, con ogni probabilità, presente anche nel cervello umano. Senza dubbio, da una simile prospettiva, il problema della coscienza è risolvibile. 

Quel che invece diventa difficile afferrare è il “momento” della coscienza, giacché essa si ridefinisce continuamente, attraverso quella “costruzione fantastica” che l’interprete fa dell’insieme delle dinamiche emotive. 

“Come ti senti?” “Di che umore sei?” Quante volte ci siamo persi in simili domande, nell'illusione che esse potessero svelarci il nocciolo della coscienza. Ma così perdiamo di vista che la coscienza è un istinto! 

Se vogliamo, un istinto di sopravvivenza: è innata, non è una cosa che ti svegli la mattina e la apprendi. È lì dal primo giorno, proprio come l’istinto di sopravvivenza. Il nostro cervello lavora in automatico perché il suo tessuto fisico si limita a eseguire una serie di funzioni. 

Come potrebbe essere altrimenti? Ciò significa che l’azione precede la consapevolezza del nostro sé concettuale, che rimane suo malgrado capace di riconoscere a posteriori il senso di un dato processo cerebrale.

Nessun commento: