lunedì, marzo 19, 2012

Matematica? Un modo per capire il mondo

Se pensavate che la matematica fosse una noiosa materia scolastica, vi sbagliavate. Ascoltando le parole di Stephen Smale si rimane affascinati e la matematica sembra quasi essere simpatica. In una intervista rilasciata al Notices of the American Mathematical Society il matematico statunitense ha descritto la matematica come "una delle tante materie" da studiare e non l'unica, ma che grazie alla matematica si possono spiegare tanti fenomeni naturali che altrimenti resterebbero sconosciuti.


Mi hanno spesso chiesto perché la matematica sia così importante per me. È una bella domanda. Penso di essere diverso dagli altri matematici, perché considero la mia materia solo una delle tante cose importanti da studiare. Vedo me stesso in una prospettiva molto più ampia, come uno scienziato, persino un po’ artista. Non è solo la matematica a motivarmi, anzi. Però ne ammiro la bellezza, la sua eleganza e la sua capacità di idealizzare le cose della vita quotidiana. Comprendere quanto ci circonda, questo è stato il fattore che ha motivato le mie ricerche negli ultimi 40 anni.
Matematica sulla Spiaggia
Stephen Smale
La matematica è un’impresa scientifica più che culturale, in senso molto ampio. La ragione tradizionale per fare matematica è comprendere la fisica, ma anche, possiamo dire, comprendere i fenomeni economici, ad esempio, o sviluppare un modello di corteccia cerebrale. Forse scopriremo delle leggi universali e riusciremo a capire come l’uomo impara e pensa. La matematica può aiutarci in questo modo, può aiutarci a comprendere i fenomeni naturali. 

L’efficacia della matematica le viene dall'essere una specie di modalità formalizzata di pensare. In matematica si può essere assai più precisi che in letteratura, si possono esprimere le relazioni in maniera più precisa, includendo le grandezze. La matematica può comprendere persino le sfumature, attraverso l’uso delle probabilità. Io ad esempio le uso molto; quando si passa dalla fisica alla visione o alla biologia, è necessario includere una qualche forma di sfumatura. E la tradizione matematica lo fa ricorrendo alla probabilità. 

La matematica è così efficace anche perché con essa si può andare alla ricerca di leggi universali, un compito molto più semplice se si hanno a disposizioni strumenti matematici che non se ne si è privi. Sono stato molto ispirato da Newton, che osservò la caduta di una mela e il moto dei pianeti e li collegò allo stesso fenomeno. Mi piacerebbe ci fosse una lingua che potesse tradurre ciò che vediamo e che poi riconosciamo come parte di un fenomeno più esteso. 

In matematica è importante essere rigorosi quando si tenta di dimostrare qualcosa. Il solo fatto che siano in molti a credere che una teoria è vera non significa che sia così. Molti credevano che l’ipotesi di Newton fosse corretta ancor prima che fosse dimostrata. Lo stesso è accaduto per l’ipotesi di Riemann

Io sono a favore di dimostrazioni rigorose, soprattutto quando si tratta di problemi importanti. D’altro canto, non sono poi così votato all’idea che la dimostrazione sia la cosa più essenziale in matematica. Le strutture fondamentali, i concetti, e lo sviluppo di questi concetti possono essere ben più importanti. Le dimostrazioni spesso ne sono una parte importante ma non sono il centro del mio lavoro. Sono rigoroso, cerco di avere le cose corrette, ma a volte le prove sono piuttosto secondarie e servono solo a verificare come sono state disposte le strutture. Osservo le relazioni tra la matematica e infine tra le parti del mondo reale. 

Non ho problemi ad esempio, ad accettare le dimostrazioni del computer. Dato che le dimostrazioni non sono basilari per me, le dimostrazioni al computer possono andare. Forse non sono altrettanto valide di una costruzione vera e propria, di una dimostrazione concettuale strutturata, ma possono andare. 

Nella mia carriera matematica ho coperto essenzialmente quattro aree: la topologia, i sistemi dinamici, l’economia matematica e l’informatica. Nel 1961 ho sentito l’esigenza di lasciare la topologia, anche se non completamente. Avevo dimostrato la Congettura di Poincarè a dimensioni uguali o maggiori di 5, e dopo questo le cose stavano perdendo di intensità. Le prove per la terza e la quarta dimensione erano ancora introvabili e sembrava – non dico che avessi ragione – che fossero dei casi speciali. Perciò trovai più entusiasmante comprendere la dinamica di una trasformazione discreta della bi-sfera che continuare ad arrovellarmi sulla congettura di Poincaré.

Ero ancora ben lontano dal credere che la Congettura di Poincarè fosse corretta. Avevo persino un controesempio, ma non funzionò, vi trovai un errore. 

Quando lavoro a un problema matematico lavoro sulle due facce della questione, perché da un lato solo non si ha una buona prospettiva. Non si dovrebbero avere troppe idee preconcette. A volte si dovrebbe dire a se stessi che se l’ipotesi non è vera occorre dimostrarlo. Far avanti e indietro è una parte importante della dimostrazione di un teorema. 

Avevo lavorato sulla dinamica qualche anno prima di dedicarmi alla topologia perciò conoscevo i grandi problemi della dinamica e iniziai proprio da quelli. Feci anche qualche studio sulla teoria dei circuiti elettrici, in fisica e in meccanica. 

Poi sono arrivato all’economia, un argomento che mi aveva sempre interessato per via delle mie attività politiche e dei miei contatti con molti marxisti. Un giorno Gerard Debreu, che in seguito sarebbe stato insignito del Nobel per l’economia, mi pose alcune questioni matematiche sugli equilibri e io gli parlai del teorema di Sard, che era attinente alla sua ricerca. Tra noi nacque un’amicizia. Non abbiamo mai lavorato insieme ma abbiamo discusso molto. In effetti, lo aiutai a vincere il Nobel. Lo segnalai, insieme a Ken Arrow, al Comitato del Premio. 

Dopo qualche anno mi dedicai allo studio degli algoritmi. Avevo sviluppato degli algoritmi per scoprire gli equilibri economici. Non stavo cercando di simulare. Stavo solo cercando di trovare un algoritmo matematico astratto; altri simulavano. Tenendo conto della domanda e dell’offerta, il compito era quello di trovare i prezzi di equilibri in economia. Ed io lo stavo studiando nello scenario generale di una economia possibile. Esisteva un altro algoritmo di Herbert Scarf. Credo che il mio fosse più veloce e più naturale. E così si poneva la domanda: quale era il migliore? Perciò mi sono spostato verso l’informatica per poter comprendere perché un algoritmo era migliore dell’altro. 

Il mio algoritmo non descriveva con esattezza il funzionamento dell’economia. Restavano aperte un paio di questioni. Una era proprio: come funziona l’economia, come si aggiustano i prezzi. Per me era questo il grande problema irrisolto dell’economia. Ci ho passato sopra molto tempo ma ho fallito. E poi c’è un altro problema. Se i parametri cambiano, come fanno gli agenti economici a trovare l’equilibrio che cambia? Come possono collocarlo numericamente? Io avevo trovato la teoria, l’algoritmo, di come fare tutto ciò. 

Il mio scopo non era quello di aiutare un’economia centralizzata a trovare l’equilibrio. Non sono mai stato forte in questo. Quando ero studente, prima di protestare contro la guerra in Vietnam, ero comunista, ma non per via delle economie della Russia o del Vietnam. Non sapevo molto di economia all’epoca, e in certo senso ero già disincantato a questo proposito. Invecchiando ho abbandonato il marxismo dal punto di vista della pianificazione dell’economia. 

In seguito mi interessai alla comprensione dei mercati. Ma non credo nel sistema capitalista, tutt’altro. Diciamo che nel corso degli anni mi sono sempre più orientato verso il mercato. Perciò quando mi sono avventurato negli algoritmi, fui ispirato dall’economia di mercato. Partendo dal presupposto che il mercato ci da degli equilibri, come possiamo trovarli? Sono dati da equazioni e io intendevo fornire gli algoritmi per risolvere quelle equazioni. 

Faccio matematica da mezzo secolo ormai e ho la sensazione che ci si stia allontanando dalle aree tradizionali della fisica. Un tempo era un terreno molto fertile per la matematica e per migliaia di anni ha ispirato molti matematici. Ma a quanto pare i matematici si sono concentrati troppo sulla fisica. Credo che ormai le cose stiano cambiando molto più in matematica che non in fisica. Come ad esempio, lo sviluppo di nuovi campi di applicazione della matematica: la visione, la biologia, la statistica, l’ingegneria, l’informatica e soprattutto il calcolo. Molte di queste discipline stanno influenzando i cambiamenti della matematica. Dove sta andando la matematica dunque? Sta abbandonando la fisica, in misura sempre maggiore, per dirigersi verso queste nuove aree. 

Non credo nella dicotomia tra matematica pura e matematica applicata. Io parlo di uso della matematica per comprendere il mondo. Quando ha sviluppato il calcolo e le equazioni differenziali, Newton faceva matematica per comprendere le leggi della gravità. La sua era matematica applicata? Non credo. Era matematica pura? Nemmeno. È questa la matematica di cui parlo. Non è quella di 150 anni fa. I problemi vengono posti più dall’informatica, dall’ingegneria e dalla biologia. Ma è matematica vera e propria, non una sua applicazione.

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