martedì, agosto 24, 2010

Spazio-Tempo di Ignazio Licata

L’indagine newtoniana comincia con lo studio del moto dei corpi. Storicamente era stata preceduta dai grandi risultati galileiani di cinematica, con lo studio della forma geometrica dei vari tipi di moto, ma spetta a Newton il merito di aver intuito che la costruzione di una dinamica, cioè di una teoria che collegasse il moto delle particelle con l’azione delle forze, implicava necessariamente una definizione dello sfondo rispetto al quale studiare i fenomeni meccanici, ossia una concezione dello spazio e del tempo. Questo avrebbe poi permesso di formulare tre domande cruciali: dove mi muovo? (problema del sistema di riferimento), come mi muovo? (problema cinematico della geometria del moto), perché un oggetto si muove? (Problema dinamico della relazione tra moto della particella ed ambiente circostante o delle cause del moto).

Newton distingue tra uno spazio assoluto, per sua natura senza rapporto con alcunché di esterno ... uguale ed immobile ed uno spazio relativo, dimensione mobile o misura degli spazi assoluti, che i nostri sensi determinano in base alla sua posizione rispetto ai corpi. Analogamente introduce un tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura fluisce uniformemente senza rapporto con alcun ché di esterno e viene chiamato anche durata ed un tempo relativo, apparente, comune, misura sensibile ed esterna, precisa o ineguale della durata per mezzo di movimento.

Quindi per Newton l’estensione spaziotemporale ha una sua realtà oggettiva, spazio e tempo assoluti sono enti dotati di una realtà fisica fondamentale e la loro esistenza è indipendente da quella della materia ordinaria. Spazio e tempo relativi sono invece mere convenzioni linguistiche per esprimere il mutare delle cose ed il moto degli oggetti. Relazioni tra cose materiali, come diceva il contemporaneo Leibniz.

Una posizione relazionale a proposito del tempo è anche quella di Sant'Agostino, espressa nel celebre passo delle Confessioni:

“Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se devo spiegarlo a qualcuno non lo so. Nondimeno so che, se nulla passasse, non vi sarebbe un tempo passato e, se nulla cambiasse, non vi sarebbe un tempo presente”.

Secondo la concezione relazionale dello spazio e del tempo, questi altro non sono che un teatro di coordinate, parametri matematici per descrivere il divenire della materia. Questa è ancora oggi la posizione dominante tra i fisici e viene espressa solitamente nel linguaggio della epistemologia operativa di P. W. Bridgmann (1927), secondo la quale una grandezza fisica è definita dall’insieme di operazioni atte a misurarla. Dunque, spazio è una nozione connessa alla convenzione scelta per misurare le lunghezze fisiche concrete degli oggetti, e tempo altro non è che la sequenza ordinata scandita da quel particolare sistema fisico periodico scelto convenzionalmente come orologio. Pur non senza ripensamenti, Einstein scriveva nel 1952:

“…lo spazio-tempo non è di necessità qualcosa a cui si possa attribuire un esistenza separata, indipendente dagli oggetti della realtà fisica”.

Secondo la moderna e più diffusa visione, dunque, introducendo uno spazio ed un tempo assoluti, Newton sarebbe entrato in contraddizione con le sue stesse Regole per ragionare in filosofia, esposte nel III Libro dei Principia, laddove dice che :

“non dobbiamo ammettere altre cause delle cose naturali se non quelle tali che sono tanto vere quanto sufficienti per spiegarne le apparenze”.   

E cosa sembra esserci di più superfluo di uno spazio assoluto, uniforme ed indifferenziato, per rispondere alla prima delle domande chiave: dove mi muovo? E' chiaro che per descrivere il moto di un corpo è necessario riferirsi ad un altro corpo di riferimento. Dunque lo spazio relativo basta e sopravanza. Questa, in sintesi, fu poi la critica che Mach mosse a Newton duecento anni dopo, scrivendo La meccanica nel suo sviluppo storico-critico (1883), inaugurando il nostro attuale modo di leggere Newton. In realtà il solitario pensatore del Trinity College aveva dei buoni motivi di ordine fisico per mettere spazio e tempo assoluti alla base del suo sistema di filosofia naturale e li troviamo proprio nelle Regole sopracitate:
            
 “…dobbiamo, per quanto è possibile, assegnare agli stessi effetti naturali le stesse cause” e “La qualità dei corpi ... che troviamo appartenere a tutti i corpi entro il raggio d’azione dei nostri esperimenti, debbono venir considerate qualità universali di qualunque corpo”; inoltre ... dobbiamo considerare le proposizioni raccolte per induzione generale dai fenomeni come precisamente vere o molto vicine ad esserlo”.

In linguaggio moderno vediamo come in questi passi Newton pone e risolve con chiarezza due problemi fondazionali di delicata ed estrema importanza per la fisica: quello dell’isotropia ed omogeneità dello spazio e del tempo rispetto alle leggi fisiche ed alle proprietà dei corpi e quello, collegato, dell’induzione.

Utilizzando un tessuto assoluto ed uniforme come teatro degli eventi fisici, Newton assicura una solida argomentazione in favore dell’idea che una legge o una proprietà fisica, proprio perché lo spazio è uguale in ogni direzione (isotropia) ed in ogni punto (omogeneità), ha valore universale. Lo stesso dicasi per l’omogeneità degli istanti del tempo. Questo, in definitiva, giustifica l’uso dell’induzione nella ricerca fisica.
Possiamo concepire il concetto stesso di legge fisica proprio perché traiamo dall’esperienza questo postulato di invarianza delle leggi fisiche rispetto all’uniformità del tessuto spaziotemporale. Naturalmente, aggiunge prudentemente Newton, entro il raggio d’azione dei nostri esperimenti.

Prevenendo la critica di Hume (1739) su cosa in definitiva ci assicuri che, in date condizioni, a certe cause sarebbero seguiti sempre gli stessi effetti, Newton risponde con un postulato sulle simmetrie fondamentali dello spazio e del tempo.

Certamente un passo audace, preparato però dalle idee di Copernico, Bruno, Keplero e Galilei, che avevano progressivamente minato la vecchia concezione di una distinzione tra fisica terrestre e fisica celeste, fondata su una sostanziale diversità tra leggi e proprietà delle sfere celesti e del mondo sublunare Una legge fisica non è tanto più vera ed universale quante più volte la verifico (concezione ingenua dell’induzione, detta dai logici da molti a tutti), ma la postuliamo universalmente vera in virtù della assoluta uniformità dello spazio e del tempo.

La regola d’induzione usata dai fisici è del tipo da uno a tutti ed è concettualmente sostenuta dall’assioma di invarianza così chiaramente espresso da Newton. Come egli dice, dobbiamo dunque considerare precisamente vere o molto vicine ad esserlo le asserzioni raccolte per induzione generale. In altre parole possiamo ragionevolmente confidare che la misura delle proprietà di una particella daranno lo stesso risultato al CERN come a Novosibirsk, sia che la particella venga prodotta in laboratorio sia che venga rivelata in uno sciame di raggi cosmici. Dunque, stessi oggetti, nelle stesse condizioni, produrranno gli stessi comportamenti. Vedremo poi la delicata problematicità delle condizioni quando parleremo del determinismo.

Tratto da "Osservando la sfinge" di Ignazio Licata - Di Renzo Editore

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