martedì, novembre 24, 2009

Meglio scappare all'estero

È l'opinione del professor Francesco Paresce, astrofisico e nipote dell'inventore del telegrafo senza fili, che ha trascorso 40 anni negli Stati Uniti. Francesco Paresce ha 69 anni, quaranta dei quali trascorsi negli Stati Uniti. Proprio come suo nonno se ne andò dall'Italia giovanissimo, per tornarvi solo alla fine della carriera.
Ha lavorato presso università americane, come quella di Berkeley e lo Space Telescope Science Institute di Baltimora, e ha ricevuto diversi premi dalla Nasa. Attualmente vive in pensione a Bologna. Resta ricercatore associato all'Inaf, l'Istituto Nazionale di Astrofisica, e consulente dell'Esa, l’Agenzia Spaziale Europea, per il progetto Hubble Space Telescope. Si tratta del telescopio spaziale orbitante intorno alla terra lanciato nel 1990, e a cui Paresce ha lavorato fin dal 1982. Nel 2005 ha pubblicato anche un libro divulgativo sulla sua attività, Tra razzi e telescopi, pubblicato da Di Renzo Editore.
Guglielmo Marconi, Suo nonno, morì a Roma nel 1937 quando Lei non era ancora nato. Che opinione si è fatto di lui secondo i racconti di Sua madre?
In Italia viene considerato spesso un mago, un genio, qualcuno fuori dalla norma, ma io non sono d'accordo. Mio nonno era una persona normale che però si impegnava molto, che aveva un'idea fissa e la perseguiva con passione. Considerarlo un "genio" è un alibi dei giovani per non impegnarsi con altrettanta passione negli studi scientifici.
Anche il regime fascista contribuì a mettere il personaggio sul piedistallo, non trova?
Il regime l'ha utilizzato ai suoi fini di propaganda. Quando Marconi è tornato in Italia dall'Inghilterra aveva già fatto le sue più importanti scoperte, era un 50enne affermato e celebrato. Aderì al regime sperando di ottenere appoggi materiali, per esempio per fondare una scuola, ma poi non ebbe nulla. Anche il fatto di avere sposato in seconde nozze una donna molto più giovane e con una famiglia vicina agli ambienti vaticani avrebbe potuto aiutarlo, ma non fu cosi. Sembra che dieci anni dopo, poco prima di morire, volesse tornare a Londra.
Fu in Gran Bretagna che riuscì a farsi finanziare gli esperimenti per il telegrafo senza fili, e dove raggiunse la fama. Un ennesimo esempio del fatto che l'Italia non riconosce il valore dei propri cittadini, costringendoli a espatriare?
In questo caso si tratta di una leggenda postuma: si dice che prima di partire per la Gran Bretagna avesse scritto al Ministero delle Poste italiano, ma non c'è alcuna prova di questo. In verità partì per la Gran Bretagna a poco più di vent'anni perché la madre inglese, Annie Jameson, aveva parenti facoltosi e ben introdotti, che gli facilitarono i contatti col Ministero delle Poste Inglese. Inoltre, l'impero britannico all’epoca era esteso a livello planetario, e la Marina Inglese si sarebbe enormemente avvantaggiata con una tecnica di comunicazione senza fili.
Quindi anche la fortuna ebbe un ruolo importante?
Senza coraggio, la fortuna non arride. Fu molto coraggioso perseguire con tenacia la sua idea e i suoi esperimenti, sfidando lo scetticismo degli scienziati dell’epoca. Il suo motto fu lo stesso di Galileo: «Provando e riprovando...». Ossia prima provare, e poi capire. Inoltre non è facile partire a vent'anni per un Paese straniero, dove sarebbe stato visto con sospetto in quanto italiano e in quanto assolutamente privo di titoli di studio.
Anche Lei, pur essendo italiano, ha lavorato per 40 anni negli Stati Uniti, andando via subito dopo la laurea. Cosa consiglia a un giovane laureato italiano che aspira alla carriera scientifica?
In Italia non si dà spazio ai giovani perché siamo un Paese gerontocratico. Consiglio quindi a un giovane di fare l'università in Italia e poi di scappare all'estero, con la coscienza che non tornerà più. Perché nel frattempo, mentre si fa il dottorato o il post-dottorato all’estero, tutti i portaborse hanno preso i posti disponibili, e se li tengono con le unghie e con i denti. Anche perché sanno di non averli conquistati con il merito, sanno quindi di non sapere.
Lei ha lavorato come astronomo in varie università e istituti di ricerca americani, e nel 1990 ha vinto un posto all'Osservatorio di Torino, dove è restato solo tre anni. Che bilancio fa di questa breve esperienza nel nostro Paese?
Cercai di coinvolgere l'Asi (Agenzia Spaziale Italiana) in un progetto di collaborazione con la Nasa, un ottimo progetto dal punto di vista scientifico, per il quale l'Asi avrebbe dovuto contribuire con 5 milioni di euro. Ma fu un fallimento: l'Asi scelse di dare la priorità a un progetto russo per un telescopio Suv, progetto palesemente senza futuro, pur di tenersi i soldi e sperperarli. L'Italia ancora una volta si diede la zappa sui piedi, perdendo una grossa opportunità. Questo è il modo di procedere abituale dell'Asi. È successo di nuovo recentemente alla fine del 2008, quando si è ritirata da un analogo progetto con la Francia, il Simbolix. Gli interessi dell'Asi sui programmi scientifici sono in assoluto declino. Pensi che l'Asi riceve 600 milioni di euro l'anno, e nessuno sa dove finiscono. Non devono rendere conto a nessuno.

Il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica non dovrebbe controllare Ingestione dei 600milioni di euro annuali dati all'Agenzia Spaziale Italiana?
No, il Ministero non controlla gli enti perché non è interessato alla ricerca. Il loro motto è: «Diamogli quei soldi, e che poi si arrangino». Col sistema italiano, la ricerca e gli enti non vanno da nessuna parte. Prima del G8 erano previsti dei "pre-G8", ossia incontri informali, tra cui uno sulla ricerca. Ebbene quest'ultimo è stato annullato una settimana prima. Un altro esempio: dovevano dare 30 milioni all'università di Bologna? Da un giorno all'altro sono spariti, finiti nel calderone dell'Alitalia.

Si dice che il problema della ricerca consiste nella scarsità di risorse destinategli dal nostro Paese.
Non è unicamente un problema di soldi, si tratta anche di un problema di organizzazione. Nella ricerca italiana bisognerebbe applicare due criteri: meritocrazia e competizione. Quando ero all'osservatorio di Torino, per favorire la meritocrazia pensammo di introdurre un comitato di valutazione esterno che intervenisse ogni 5 anni, come si fa negli altri Paesi. La proposta fu accolta con disdegno, perché c'era troppa gente che non combinava niente. Perciò, è un vero miracolo quando un centro di ricerca italiano consegue dei risultati. Immagini come potremmo lavorare bene, se ci fosse un po' di organizzazione!
[Dalla Rivista 50&più di Ottobre 2009]
Per approfondire:

3 commenti:

Cesare Albanesi ha detto...

Sono pienamente d'accordo sulla valutazione dell'Agenzia Spaziale Italiana ad oggi del tutto inadeguata dal pubto di vista strategico e gestionale
Ing Cesare Albanesi
3476850704

il Sindaco di Notiziopoli.it ha detto...

Purtroppo, qui in Italia, non vengono riconosciuti gli sforzi che uno fa. Però il commento che tanti amici costretti a "scappare" è che all'estero si trovano bene e si sentono soddisfatti perché almeno gli viene riconosciuto quello che fanno

Cesare Albanesi ha detto...

GENTILE PROFESSORE.
DOVREBBE SEGUIRE IL DIBATTITO CHE SI STA SVILUPPANDO INTORNO ALLE SUE INTERESSANTI OSSERVAZIONI SULL'ASI nel blog spaziale delle scienze
sAREBBE INTERESSANTE UN SUO INTERVENTO
CESARE ALBANESI