giovedì, ottobre 22, 2009

L’universo raccontato dal nipote di Marconi

Uno stretto legame col Canada, che forse pochi conoscono, e un nipote di primo grado che ha continuato gli studi del nonno, Guglielmo Marconi, il primo italiano a ricevere, cento anni fa, il premio Nobel per la fisica. È dal Newfoundland, infatti, che il celebre inventore italiano ricevette il primo segnale senza fili, spedito da Poldhu, in Cornovaglia, da circa 3.400 chilometri, dimostrando al mondo che i suoi calcoli sulla telegrafia senza fili erano esatti.


È proprio per questo speciale legame fra il fisico italiano e il Canada che il nipote, l’astrofisico Francesco Paresce Marconi dell’Istituto nazionale di astrofisica di Bologna, figlio di Degna Marconi, è stato invitato a tenere una conferenza all’Istituto Italiano di cultura di Toronto per la “Settimana della lingua italiana nel mondo” e un’altra all’Università del Western Ontario, a London.

In due ore, parlando a braccio in un inglese perfetto, il professor Paresce Marconi ha ripercorso circa quattro secoli di storia, dalle prime osservazioni celesti di Galileo fino alle teorie astronomiche di oggi, passando attraverso le scoperte del nonno. Come Galileo ha rivoluzionato le teorie astronomiche dell’epoca, così Marconi ha aperto la strada alle telecomunicazioni, dalla radio alla televisione ai cellulari. Quattrocento anni fa lo scienziato toscano studiava il cielo con un cannocchiale di sua invenzione, che aveva un diametro di 1-2 centimetri e grazie a quelle osservazioni pubblicò una prima immagine della Luna, non lontana da quella che conosciamo noi.


Gli scienziati di oggi, invece, osservano l’universo a 500 chilometri dalla Terra con un telescopio spaziale, che ha un diametro di 240 centimetri e quest’anno festeggiano il quarantesimo anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna. Ma se non ci fosse stato il cannocchiale di Galileo forse non ci sarebbe stato nemmeno un telescopio spaziale. Così come l’enorme espansione delle telecomunicazioni è partita da quel primo messaggio ricevuto in Canada da Guglielmo Marconi. All’epoca lo scienziato investì circa 50mila sterline per ricevere i tre “clic” corrispondenti alla lettera “S” dell’alfabeto Morse, mentre oggi tutti hanno un cellulare in tasca. Qualcuno anche due.


Le connessioni fra Galileo e Marconi, come ha tenuto a sottolineare l’astrofisico italiano, sono molte, anche se sono vissuti in epoche diverse e hanno studiato discipline diverse. Ma soprattutto, ha detto il professor Paresce Marconi, avevano in comune la passione per l’osservazione dell’universo.


Galileo, che è stato molto più prodigo di scritti, sosteneva che “l’intenzione dello Spirito Santo sarebbe dovuta essere quella d’insegnarci come si vadia al cielo, non come vadia il cielo” e che la filosofia scritta nel libro dell’universo si può intendere “solo se prima s’impara a intendere la lingua e a conoscerne i caratteri”. Più o meno tre secoli dopo Marconi scrisse che “non serve interrogare l’universo con una formula. Bisogna osservarlo e poi riflettere con l’aiuto della ragione”, che aggiunge, “aiuta a mantenersi giovani”.


Le sue scoperte, infatti, Marconi le ha fatte sperimentando, “provando e riprovando” come fa dire Dante a Beatrice nel III canto del Paradiso. Anche perché il primo premio Nobel italiano per la fisica a scuola non c’è mai andato. Non a una scuola vera e propria almeno. La mamma di Marconi, infatti, l’irlandese Annie Jameson, si rifiutò di mandare il figlio a scuola dai preti e gli insegnò a studiare solo quello che trovava interessante. Forse perché lei non aveva potuto assecondare la sua passione, il bel canto, per le convenzioni dell’epoca, che non permettevano a una donna di calcare i palcoscenici. Il professor Paresce Marconi non ha fatto in tempo a conoscere il nonno, morto tre anni prima della sua nascita, ma la sua passione per l’osservazione e l’universo sono entrati lo stesso nel suo patrimonio genetico.

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