Quando Max Ferdinand Perutz cominciò i suoi studi sull’emoglobina, tutto quello che si conosceva sull'argomento lo si poteva scrivere sul retro di un francobollo. Erano gli anni ’30 e nessuno avrebbe scommesso sulla carriera scientifica di questo giovane viennese, naturalizzato inglese, che invece, nel 1962, riceverà il premio Nobel nella chimica per aver scoperto l'architettura e il meccanismo d'azione dell'emoglobina.
In “Le molecole dei viventi” (Di Renzo Editore), Perutz racconta la sua avventura scientifica, la gran parte trascorsa a studiare la struttura molecolare di questa proteina essenziale per la nostra vita, che trasporta l’ossigeno nel sangue dai polmoni ai tessuti. Anni di lavoro intenso, che hanno favorito lo sviluppo di nuove discipline di frontiera, come la genomica, e avviato importanti progressi nel trattamento e nella prevenzione delle malattie.
Ma Perutz non è stato solo lo scienziato tenace e originale, conosciuto in tutto il mondo per le sue intuizioni e per la grande umanità, ma anche uno dei maggiori artefici di un nuovo modo di fare ricerca, un modo collettivo, collaborativo, dove la scienza diventa 'cosa comune' da condividere con altri colleghi, esperti fisici, matematici e medici per il bene e lo sviluppo dell’umanità.
Nel saggio, il premio Nobel, scomparso nel 2002, sprona le nuove generazioni di scienziati a non perdersi d’animo e a essere pronti a superare le difficoltà che incontrano: i giovani ricercatori sono spesso costretti a pubblicare risultati rapidamente, per non vedere la propria carriera stroncata sul nascere e non essere tagliati fuori dai finanziamenti. Perutz per scoprire la struttura e le funzioni dell'emoglobina, ha impiegato più di trent'anni: oggi nessuno gli concederebbe così tanto tempo.
Anna Capasso
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